Torre Annunziata

A nord di Pompei si affaccia sul mare, la città di Torre Annunziata col suo Centro storico ricco di storia e monumenti.

Scavi di Oplontis

Nella Tabula Peutingeriana, copia medioevale di un’antica mappa relativa alle strade esistenti in Italia all’epoca dell’Impero Romano, il toponimo Oplontis indica alcune strutture posizionate tra Pompei ed Ercolano.

Pertanto è stata attribuita ad Oplontis una serie di rinvenimenti archeologici, che in realtà sono relativi ad una zona suburbana di Pompei: una villa residenziale, la villa di ” Poppea “; una villa rustica attribuita a L. Crassius Tertius, nella quale, accanto a numerosi corpi di vittime dell’eruzione, è stata rinvenuta una notevole quantità di monete in oro e argento, assieme a numerosi pezzi di finissima oreficeria; una struttura termale, presso l’ Oncino, sotto le attuali Terme Nunziante, attribuito da  Maiuri al console Crassus Frugi.

Il monumento principale, unico visitabile, è la villa di Poppea inserita tra i beni che l’UNESCO ha definito “Patrimonio dell’Umanità”: grandiosa costruzione residenziale della metà del I secolo a.C., ampliata in età imperiale, era in corso di restauro al momento dell’eruzione. È attribuita a Poppea Sabina, seconda moglie dell’imperatore Nerone, ma in ogni caso rientrante nel patrimonio della famiglia imperiale.

OPLONTI NASCOSTA  LA VILLA “B”

A 300 metri di distanza dalla Villa di Poppea, è stata ritrovata un’altra costruzione, la Villa B, ovvero la Villa di Lucius Cratius Tertius, il nome del proprietario che ci è pervenuto inciso su un sigillo bronzeo. La Villa non era finalizzata all’OTIUM come quella di Poppea, ma al NEGOTIUM, era infatti un’azienda agricola destinata alla vendita all’ingrosso di vino, olio, garum e derrate alimentari. Ciò è dimostrato dal ritrovamento di numerose anfore.

L’edificio è composto da un piano superiore, nel quale viveva il proprietario con la sua famiglia, come dimostra il ritrovamento di una meravigliosa cassaforte, munita di un sofisticato procedimenti di apertura e ornata di pregevoli decorazioni in bronzo,  e un piano terra, nel quale vi erano magazzini e ambienti da lavoro.

Mentre la Villa A era deserta al momento dell’eruzione del 79 d.C., in quanto in fase di ristrutturazione, nella Villa B è stato possibile rivenire diversi scheletri.

Su alcuni di questi corpi sono stati rinvenuti i cosiddetti Ori di Oplontis: tra di essi vi sono collane di vario genere, ad esempio di cristallo di rocca, collane a bandoliera e collane composte da vaghi d’oro e smeraldi, anche con pendenti; anelli particolari, tra cui uno a corpo di serpente; bracciali, come un’armilla a corpo di serpente a spirale e armilla a verga tonda cava.

Santuario Madonna della Neve

La basilica dell’Ave Gratia Plena di Torre Annunziata,  nota in zona come Santuario della Madonna della Neve, rappresenta uno dei principali luoghi di culto cattolico dell’area vesuviana.     La sua costruzione risale al 1319 e il suo ampliamento si deve alla volontà del feudatario Nicolò d’Alagno (sec. XV), che le assegnò il nome di “Chiesa dell’Annunciata”. Questo sacro luogo è noto principalmente perché al suo interno si conserva un’antica icona della Madonna intorno alla quale ruota un’antica storia o leggenda che dir si voglia.

Secondo il racconto popolare, il 5 agosto del 1354, alcuni pescatori Torresi nei pressi dello scoglio di Rovigliano (ai confini con Castellammare di Stabia), rinvennero nelle loro reti un busto di terracotta raffigurante una Madonna dalla carnagione scura che recava in braccio Gesù Bambino.

Tornati al porto si generò un’accesa lite con i pescatori di Castellammare di Stabia, i quali ne rivendicavano la proprietà in quanto essa era stata ritrovata in acque appartenenti al loro territorio. Difatti chi conosce quella zona di costa vesuviana, sa bene che si trova in effetti al confine tra le due città, laddove sfocia il fiume Sarno. La Madonna fu affidata ai torresi dai magistrati dell’epoca.

Nel corso del tempo, all’intercessione della Madonna della Neve sono stati attribuiti dal popolo diversi miracoli tra i quali in molti ricordano quello del 22 Ottobre 1822, legato al Vesuvio. In tale data infatti, la città di Torre Annunziata venne gravemente minacciata da un’eruzione di cenere che fuoriuscì dal cono del vulcano. Si racconta che il popolo invocò in tale occasione l’intercessione della  Madonna e che ciò fu sufficiente affinché l’eruzione terminasse. Nell’aprile 1906 la lava del Vesuvio, dopo aver distrutto parte di Boscotrecase, stava per invadere l’abitato di Torre Annunziata. La Madonna delle Neve portata in processione si vuole arrestasse il percorso della lava, risparmiando così la città.

Il percorso che condusse la Chiesa dell’Annunciata a diventare basilica fu scandito dalle seguenti tappe: divenne in primo luogo Abbazia dei padri Celestini (sec. XV), nel 1856 venne eretta in parrocchia, nel 1953 il suo rango venne elevato a quello di Santuario della Diocesi di Nola fino a diventare Basilica minore nel luglio del 1979 per volere di papa Giovanni Paolo II.

Il suggestivo interno della basilica si presenta a pianta a croce latina; posto di rilievo è assegnato alla Madonna della Neve, la cui icona in terracotta risalente al XIV secolo è collocata nella cappella posta nel transetto.  Ad impreziosire la navata interna troviamo dipinti alcuni affreschi dell’Ottocento, mano dell’artista Achille Iovane, ed una tavola, sull’altare maggiore, risalente al XIV secolo sulla quale è raffigurata l’Annunciazione con ai piedi il feudatario d’Alagno.

Ma il fiore all’occhiello della basilica è senza ombra di dubbio l’organo a canne Giuseppe Rotelli fatto “confezionare” ad arte dal parroco don Emilio Lambiase in occasione del centenario del miracolo del 22 ottobre 1822. In tale occasione tutta la parrocchia fu oggetto di restauro ed in tale contesto alla città oplontina fu donato il prezioso organo che contribuì a rendere ancora più grande la chiesa.

Santuario dello Spirito Santo

La Chiesa del Carmine, conosciuta anche come Santuario dello Spirito Santo è un edificio di culto di Torre Annunziata, eretto nel quartiere Terravecchia. Lateralmente ingloba l’Arciconfraternita dei Santi Agostino e Monica e la Reale Confraternita del Santissimo Sacramento, ove sono conservate le spoglie di San Felicio martire e del Servo di Dio Giuseppe Ottone. È una delle chiese più grandi della città, la cui mole e la sua cupola sono la principale caratteristica architettonica del panorama cittadino, perfettamente visibile per chi la osserva dal mare, mentre dal sagrato a risaltare è l’imponente facciata.

Questa è composta da due ordini separati da un’alta architrave decorata a metope, orizzontalmente ci sono tre alte paraste scanalate, tranne quella di mezzo. L’ordine superiore dotato di un’ampia apertura centrale, è sormontato da un timpano spezzato, ai cui lati, al di sopra degli ingressi laterali, trovano posto due nicchie rettangolari : a destra la statua della Vergine Maria, a sinistra quella di Gesù. Al di sopra di ogni statua è posta una pannellatura circolare, quella di sinistra è il quadrante di un orologio in ceramica. In alto a sinistra è posto un piccolo torrino, al centro un timpano triangolare, mentre a destra c’è la torre campanaria contenente una campana di dimensioni ridotte. Il sagrato è in pietra lavica, ed è delimitato da una balaustra in pilastrini di marmo bianco realizzati dall’architetto Solimene su disegno dell’architetto Robbeo.

L’interno, con pianta a croce latina, presenta un’unica navata lunga 58,20 metri e larga 12,70 con quattro cappelle per ogni lato delimitate da alte colonne. Nelle prime cappelline, a destra è conservato un antico sarcofago in marmo, a sinistra c’è il fonte battesimale, in quella centrale sinistra c’è la scala che conduce all’ipogeo, in quella destra è conservato un quadro che fu donato da Ferdinando II, di cui se ne ignora l’autore. In stile bizantino risalente al XIV secolo, in esso è raffigurata la Vergine Maria circondata dagli Apostoli. L’incrocio del transetto con la navata è delimitato da alte colonne nei quattro angoli, le quali sorreggono il tamburo che regge la cupola, la quale è caratterizzata dalla presenza della lanterna. La pavimentazione è interamente in marmo bardiglio. Negli anni settanta fu collocata una mensa al centro del presbiterio e sui gradini che portano ad esso fu collocato l’ambone. Sull’altare trova posto un quadro di Achille Iovane dipinto nel 1850, che rappresenta la discesa dello Spirito Santo.

Chiesa dell’Immacolata Concezione

La chiesa è composta da tre piccole navate. In fondo alla navata di destra si nota la tela raffigurante la Pietà di cui non si conosce l’autore, la supposizione è che questo quadro fosse collocato sull’altare maggiore dell’antica cappella Strina. Nel centro della navata principale vi è un antico  pulpito di marmo, dove al di sotto di esso è posta una lapide, che ricorda che in alcune ricorrenze qui vi aveva predicato Alfonso Maria de’ Liguori. Nella Cappella della Pietà è conservato il battistero risalente al 1668, la cui data è incisa sulla vasca.

Gli affreschi della volta furono dipinti dal pittore torrese Vincenzo Bisogno. Quello centrale rappresenta l’Immacolata che intercede presso Dio affinché liberi Torre Annunziata dall’epidemia di colera, mentre gli altri due rappresentano rispettivamente la nascita di Maria Santissima e la presentazione al Tempio di Maria con Sant’Anna e San Gioacchino.

Tra i quadri è degno di nota un dipinto su tela raffigurante la Crocifissione, attribuito alla bottega di Mattia Preti, trafugato, ritrovato e ricollocato nella Parrocchia dell’Immacolata il  21 marzo 2013.

Villa Parnaso

La storia di Villa del Parnaso è legata con un insediamento di epoca romana. Infatti, la Villa sul mare di Caio Siculio, che le ricostruzioni datano intorno al I sec. a.C., è il nucleo originario della struttura che vivrà, nei secoli, diverse vicissitudini. La villa, sorta in un luogo eccezionale per condizioni ambientali e climatiche e per la presenza di acque termali, viene in parte distrutta dalla celeberrima eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e ritrovata solo secoli dopo, intorno al 1841, nel pieno dei lavori per la realizzazione della tratta ferroviaria da Portici a Nocera. Di quel maestoso edificio, appartenuto al ricco Caio Siculio, restano oggi due importanti reperti, oggi conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli: l’affresco che racconta, con lo sfondo del monte Parnaso,  il mito di Eco e Narciso ed un anello di bronzo che riporta le iniziali del proprietario della villa.

Le prime incerte notizie di una ricostruzione nello stesso luogo della villa romana semi distrutta dall’eruzione del 79 d.C., fanno risalire alla fine del 1500 i lavori per l’edificazione di una nuova struttura la quale, però, subirà la medesima sorte di quella di epoca romana, finendo irrimediabilmente distrutta dalla furia dell’eruzione del Vesuvio del 1631. Ma, anche stavolta, la resilienza del popolo vesuviano, fa sì che una nuova costruzione prenda il posto di quella distrutta, ricalcandone quasi fedelmente lo stile architettonico e sviluppandosi dalla strada Regia verso il mare. La storia di questo luogo continua arrivando al 1800 quando, passata la proprietà alla famiglia De Gennaro, si arricchisce ed amplia. La Villa era immersa in una ricca area verde impreziosita da pilastri in pietra e piperno, vasi, voliere, fontane ad esaltarne l’aspetto elegante e scenografico. Sempre nella prima metà del 1800 due eventi caratterizzarono la vita della villa del Parnaso: in primo luogo il passaggio, all’interno della proprietà, della linea ferroviaria che obbliga alla suddivisione della proprietà ed alla costruzione di ponti per il collegamento tra i giardini della struttura. In secondo luogo, l’esproprio forzato per motivi di pubblica utilità nel 1872: nello specifico occorreva estrarne, da una parte, blocchi di pietra vulcanica per la costruzione del porto mercantile. Questo segnò l’abbandono della villa ed il conseguente abbattimento. Quell’esproprio ha anche consentito l’attuale conoscenza delle caratteristiche architettoniche di Villa del Parnaso grazie alla presenza nell’archivio comunale di tutta la documentazione relativa all’esproprio stesso che conteneva una dettagliata descrizione del sito realizzata dall’architetto Eduardo Giordano con una pianta dei giardini e illustrazioni delle opere architettoniche che davano sul lato mare.

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